Che cos’è il Criminal Profiling

Il criminal profiling rappresenta di fatto una tecnica di analisi a supporto dell’investigazione tradizionale attraverso la quale personale specializzato arriva a elaborare un possibile profilo psico-comportamentale del soggetto che ha compiuto un determinato crimine. Il criminal profiling viene quindi utilizzato principalmente per ridurre la rosa dei sospetti indirizzando le risorse investigative, che non sono mai infinite per loro stessa natura, solo verso coloro che possiedono certe caratteristiche di personalità̀ e comportamentali. In tale prospettiva, l’obiettivo primario è rappresentato dall’aiutare gli investigatori a gestire con maggiore efficacia la loro lista di sospetti. A questo punto occorre sgombrare il campo da ogni eventuale equivoco: il profiling di per sé non è in grado di identificare un sospettato specifico, come non è in grado di fornire un indirizzo o un numero di telefono. L’esito del profiling è una sorta di ritratto che contiene informazioni di carattere biografico, psicologico e comportamentale su un dato criminale ancora sconosciuto (il cosiddetto unsub o “soggetto ignoto” nel gergo poliziesco).

L’esordio di tale tecnica di supporto, basata sull’analisi delle tracce comportamentali presenti sulla scena del crimine, ha avuto luogo nella metà degli anni Sessanta negli ambienti investigativi statunitensi, dove ancora oggi vede la sua maggiore applicazione pratica e i maggiori successi. Il padre di tale cambiamento di rotta fu senza alcun dubbio Howard Teten, un agente speciale dell’FBI con una lunga carriera alle spalle come detective della Squadra omicidi della polizia di San Leandro, California. Teten, dopo aver messo a punto un approccio più̀ sistematico alle tecniche di profiling, insieme a Pat Mullany, un altro agente speciale dell’FBI esperto in psicologia criminale, crea il primo programma ufficiale di criminal profiling del Bureau: nasce in seno all’FBI la prima unità investigativa della storia creata con la mission ufficiale di occuparsi dell’analisi psicologica della scena del crimine. Mi riferisco alla Behavioural Science Unit (BSU), la squadra dei cosiddetti mindhunters (“cacciatori di menti”), che del criminal profiling moderno vanta la paternità̀ storica e che ha ispirato molti film e serie televisive di successo, da Il silenzio degli innocenti al più̀ recente Criminal Minds.

Nelle tecniche di profiling dell’FBI il contributo di uomini come John Douglas, Robert Ressler e Roy Hazelwood, la seconda generazione di profiler in forza al Bureau, rappresenta ancora oggi il patrimonio di contenuti più̀ diffuso e rispettato. Questi psycho-detectives, attraverso tutta una serie di colloqui in carcere con i più famigerati serial killer dell’epoca (del calibro di John Wayne Gacy, David “the son of Sam” Berkowitz e Edmund Kemper) hanno elaborato una tecnica operativa suddivisa in cinque fasi principali, con una sesta fase ipotetica (e fortemente auspicabile) che consiste nell’arresto dell’autore del reato. Ecco qui di seguito, in sintesi, il percorso analitico definito dai padri del profiling di matrice investigativa.

  1. Profiling input. Questa prima fase include la raccolta di tutte le informazioni disponibili sulla scena del crimine, comprese le impronte e le tracce di ogni tipo, le fotografie della scena, il rapporto autoptico completo, le deposizioni testimoniali, l’analisi vittimologica (raccolta di informazioni in merito al background della vittima) e il rapporto della polizia. In questa fase, secondo gli autori, il profiler non dovrebbe richiedere che gli vengano fornite informazioni su possibili sospetti poiché́ potrebbero influenzare la sua analisi e quindi inficiare l’intero processo.
  2. Decision process models. Il profiler organizza le informazioni raccolte durante la fase precedente prendendo in considerazione le complesse dimensioni dell’attività̀ criminale. Queste sono alcune delle domande che normalmente il profiler affronta durante questa tappa del percorso:
  • Che tipo di omicidio è stato commesso?
    • Qual è il movente primario alla base dell’atto criminale?
  • Qual è il livello di rischio cui era soggetta la vittima?
    • Qual è il livello di rischio corso dall’offender per portare a termine il crimine?
  • Qual è l’esatta sequenza degli atti compiuti dall’offender (timeline criminodinamica), prima, durante e dopo il crimine?
  • Quanto tempo ha trascorso sulla scena del crimine?
    • Qual è stato il livello di controllo esercitato sulla scena del crimine/vittima?
  • Dov’è stato commesso il crimine?
    • Il corpo è stato ritrovato sulla scena in cui è stato commesso il crimine o è stato spostato?
  • Quali sono le condizioni del corpo al momento del ritrovamento?
  • Esistono elementi che rimandano a un’ipotesi di staging (“messa in scena”, “depistaggio”) o undoing (il tentativo di ridurre l’impatto emozionale-psicologico di quanto commesso)?
  1. Crime assessment. A questo punto il profiler tenta di ricostruire il comportamento dell’offender, prestando particolare attenzione all’interazione tra vittima e aggressore. In questa fase entrano in gioco alcuni principi generali del profiling come ad esempio:
  • la presenza di gravi traumi facciali sulla vittima fa supporre l’esistenza di un livello di conoscenza pregressa tra autore e vittima;
  • gli omicidi commessi con armi d’opportunità̀, ossia reperite direttamente sul luogo dell’aggressione e non preselezionate e portate con sé dall’aggressore sulla scena del crimine, riflettono una maggiore impulsività̀ rispetto agli omicidi commessi con un’arma da fuoco e possono far pensare a un offender che vive vicino alla vittima o appartiene alla sfera di conoscenze di quest’ultima;
  • gli omicidi che avvengono nelle prime ore del mattino raramente hanno a che fare con l’uso di alcol o di sostanze stupefacenti.
  1. Criminal profiling. In questa fase il profiler, sulla base di tutte le informazioni raccolte nelle fasi precedenti, elabora una descrizione tipologica del sospettato. Il profilo tipico include le seguenti informazioni: sesso, razza, età̀, stato civile, stato sociale, storia lavorativa, caratteristiche psicologiche, valori, credenze, probabile reazione nei confronti della polizia, eventuali precedenti penali, sia generici che specifici (relativi a episodi criminali della stessa natura dell’evento criminale oggetto di indagine).
  2. Investigation. È la fase in cui viene stilato un rapporto scritto che viene poi consegnato agli investigatori che lo possono utilizzare per ridurre la rosa dei sospetti. Se emergono nuovi elementi di prova in questa fase, anche il report va rivisto e rielaborato sulla base delle nuove informazioni emerse. Il report tipicamente contiene anche informazioni per orientare le strategie di interrogatorio da utilizzare nell’esame dei possibili sospettati.
  3. Apprehension (individuazione e cattura). Anche in questa fase l’attività̀ di profiling può̀ rivelarsi di notevole utilità̀ per mettere a punto la strategia di interrogatorio più idonea sulla base delle caratteristiche psicologiche dell’offender tratteggiate dal profiler. Tale aspetto può̀ rivelarsi di grande importanza quando ci si trova davanti un dato sospettato di cui non abbiamo informazioni di matrice psicologica.

Naturalmente il percorso analitico appena descritto rappresenta il punto di partenza di uno strumento investigativo che nel corso degli ultimi trent’anni ha avuto modo di evolvere e crescere notevolmente, seppur con grande fatica, sia sotto l’aspetto dell’efficacia sul campo che in termini di validazione scientifica dei vari approcci utilizzati.

 

QUANDO PUÒ ESSERE UTILIZZATO IL CRIMINAL PROFILING

I settori tradizionali di applicazione del profiling sono gli omicidi seriali, gli stupri seriali, gli omicidi a sfondo sessuale, le molestie sui minori, i crimini rituali e la piromania. La caratteristica comune a tutti i crimini tradizionalmente analizzati con le tecniche di profiling è quindi la serialità̀ (uno stesso soggetto che commette una serie di crimini) e il fatto che l’assassino sia motivato da una spinta psicopatologica. L’applicazione in questo ambito dei metodi statistici è sempre in funzione del processo di linkage (letteralmente “collegamento”, “connessione”), che cerca di acquisire e analizzare le caratteristiche comuni tra una serie di eventi criminali dietro i quali potrebbe celarsi la stessa mano. Naturalmente, è bene qui sottolinearlo, l’attività̀ di linkage rappresenta una delle fasi più̀ delicate dell’intera indagine, dal momento che molto spesso è tutt’altro che scontato e lineare riconoscere degli elementi comuni all’interno di più̀ crimini. Ogni singolo caso infatti deve comunque e necessariamente essere analizzato a partire dalla sua “unicità̀” dal punto di vista criminologico, e solo in seguito può̀, eventualmente, essere ricondotto a una serie di atti criminali “omogenei”, ossia riconducibili a una stessa “mano”.

Proprio il ristretto ambito di applicazione (ossia i crimini violenti di matrice seriale) ha di fatto, se non proprio pregiudicato, quantomeno rallentato per molti versi lo sviluppo dell’efficacia applicativa di tale tecnica. Il numero degli omicidi seriali è di gran lunga inferiore rispetto a quel- lo degli omicidi singoli. In Italia, ad esempio, in trent’anni (1980-2010) sono avvenuti circa 150 omicidi attribuibili a serial killer a fronte di circa 20.000 omicidi singoli, commessi per le più̀ svariate motivazioni. Si tenga poi conto del fatto che nelle investigazioni sugli omicidi singoli il numero dei casi irrisolti è piuttosto elevato, attestandosi nel mondo su una percentuale variabile (diversa per anno e area geografica) dal 30 al 60% dei crimini avvenuti. È piuttosto evidente quindi che è su questa tipologia di delitti che andrebbero concentrati i maggiori sforzi in termini di ricerca scientifica e potenziamento delle tecniche di analisi psicologica della scena del crimine.

La maggior parte degli omicidi, infatti, è bene qui ricordarlo, avviene tra persone che si conoscono. La vittima, ignara del tragico destino che l’attende, conosce da tempo il proprio carnefice che, di volta in volta, può̀ assumere le sembianze della madre, del padre, del figlio, dello zio, del marito/partner, di un ex fidanzato, di un amico, di un collega o di un vicino di casa. In tutti questi casi abbiamo a che fare con un soggetto che commetterà̀ nell’arco della sua “carriera criminale” soltanto quel crimine, che rappresenta, quindi, l’unica occasione per elaborare il suo profilo. Purtroppo, però, nella vita reale spesso sono proprio i “cattivi” a vincere la partita, e forse è anche per questo che la gente si appassiona così tanto a serie televisive, film e libri gialli, dal momento che nella stragrande maggioranza di queste storie neanche il più̀ diabolico e feroce dei criminali riesce mai a mettere in scacco l’abilità dell’eroe di turno, che riesce sempre a stanarlo e ad assicurarlo alla giustizia, pur tra mille difficoltà all’apparenza insuperabili. E questo agognato lieto fine per un attimo sembra in grado di rassicurarci, restituendoci per un momento prezioso l’immagine di un mondo molto più “giusto” e ordinato di quello in cui viviamo.

Ma se torniamo sul campo, soprattutto se guardiamo agli ambienti investigativi, specialmente europei, ci rendiamo ben presto conto che serpeggia da sempre un certo scetticismo sull’utilità̀ del criminal profiling come tecnica di supporto alle indagini. Il motivo principale che alimenta tale sfiducia tra gli operatori è rappresentato dal fatto che l’utilizzo di questo strumento è stato finora riservato al crimine violento seriale, o comunque a tipi particolari di crimini ripetuti dallo stesso autore (di matrice sessuale), che statisticamente assumono una rilevanza minore nella casistica che si trova a trattare abitualmente un investigatore nel corso della sua carriera. Oltre al fatto, naturalmente, che la generalizzazione in ambito investigativo è tendenzialmente rischiosa, poiché́ ogni criminale è unico sia per quanto riguarda il proprio stile comportamentale sia per quanto riguarda i tratti di personalità̀. In tal senso il criminal profiling, pur talvolta di indubbia utilità̀, dovrebbe essere sempre considerato come un’ipotesi di lavoro e non come una corsia preferenziale verso la soluzione del caso.

La spiegazione alla base della scelta di impiegare il profiling prevalentemente (se non esclusivamente) nell’ambito dei crimini violenti di matrice seriale è piuttosto semplice. Una serie di omicidi o una serie di aggressioni sessuali sono crimini che vengono solitamente compiuti sulla spinta di particolari motivazioni e “fantasie” che fanno parte stabilmente dell’universo psicologico dell’assassino e ne connotano profondamente il vissuto e i bisogni/desideri. In questi casi è abbastanza probabile ritrovare delle tracce psicologiche di queste fantasie e di queste motivazioni nei crimini commessi. Maggiore è la disponibilità̀ di tali “tracce comportamentali”, tanto più agevole – e accurata – sarà̀ l’elaborazione del profilo di chi le ha lasciate.

Tutt’altro paio di maniche è invece poter contare solo sulle informazioni raccolte in un singolo caso per elaborare il profilo dell’offender. Nonostante ciò̀ l’impiego del profiling in una prospettiva investigativa è stato ormai accolto da molte forze di polizia in tutto il mondo.