Che cosa sono i COLD CASE?

Il nostro sistema giudiziario considera talune fattispecie di reato così gravi da non prevederne la prescrizione, vale a dire i reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo.
Ogni delitto porta con sé l’inevitabile condanna all’ergastolo della sofferenza, pena che può arrivare a peggiorare sensibilmente la condizione dei familiari della vittima in tutti quei casi in cui un delitto resta irrisolto. A volte per anni. A volte, purtroppo, per sempre. Ma il dolore generato da questi eventi non si prescrive neppure nella memoria di tutti noi.
Di fronte a eventi così sconvolgenti, vorremmo quasi fosse un diritto inalienabile il poter dimenticare per ricominciare a vivere. Ma per poter davvero ricominciare occorre in primis dissipare l’ombra del dubbio e ottenere Verità e Giustizia per le vittime e per coloro che a loro erano legate da sincero affetto.
Tante volte è proprio l’incapacità di arrendersi, il non voler accettare ciò che si ritiene profondamente ingiusto che dà la forza necessaria a combattere battaglie che richiederebbero la forza di un esercito, l’abilità di uno stratega militare, la resistenza di soldati severamente addestrati. L’associazione “A pista fredda” si schiera proprio al fianco di tutti coloro che non hanno alcuna intenzione di “gettare la spugna” sul ring, spesso deludente, del sistema giustizia. Noi entriamo in campo proprio quando le cose non sono andate come dovevano per rimettere sul tavolo l’intera vicenda e ricominciare da dove tutto ha avuto inizio con il preciso obiettivo di scrivere un finale diverso. E il finale che noi proveremo a scrivere, mettendo in campo tutte le nostre migliori professionalità, è quello che definisce un caso come “RISOLTO”.
Per Cold Case, delitti a pista fredda o delitti insoluti, si intendono tutti quei casi di reati violenti che non hanno ancora ottenuto una risoluzione definitiva sancita da una condanna passata in giudicato, ovverossia chiusi per mancanza o insufficienza di prove: in sostanza, i casi rimasti senza un colpevole o, peggio ancora, addirittura senza un corpo.
Non esiste un tempo stabilito, trascorso il quale un caso diventa a pista fredda. Può accadere che, successivamente all’archiviazione di un procedimento, emergano negli anni nuove prove o sia possibile analizzare e riesaminare reperti alla luce dei progressi compiuti dalla Scienza, o si facciano avanti nuovi testimoni, venga a cadere un alibi, o si invalidi una prova che scagionava un indagato, si trovino i poveri resti di una persona scomparsa, si sia nelle condizioni di accertare che quanto derubricato come incidente sia in realtà un crimine, o quello che è stato fatto credere un suicidio sia in realtà un omicidio.
Secondo questo tipo di metodologia investigativa, il punto di partenza è l’analisi dei fascicoli giudiziari che contengono tutte le indagini e gli accertamenti svolti. In questa fase è cruciale, per poter individuare nuove piste investigative da percorrere, andare alla ricerca di incongruenze, dissonanze, eventuali omissioni nelle procedure o nella attività investigativa inizialmente messa in atto. Ma spesso risulta di fondamentale importanza anche la valutazione della corretta repertazione e catena di custodia delle tracce. Perché quando esaminiamo un caso a pista fredda noi cominciamo, ove possibile, sempre dallo stesso punto di partenza: la scena del crimine.

 

Cold Case – persone scomparse

Nei Cold Case vengono inoltre compresi anche i casi di persone scomparse. Proprio questo genere di scenario molto spesso, come ci ha ampiamente dimostrato la cronaca giudiziaria, può nascondere in realtà un caso di omicidio. Il nostro Presidente, la Dr.ssa Roberta Bruzzone, si è occupata come consulente tecnico in parte accusatoria di due tra i principali casi di questo tipo avvenuti nel panorama nazionale, il delitto di Francesca Benetti (che si è concluso con la condanna definitiva all’ergastolo dell’imputato Antonino Bilella nonostante non sia mai stato ritrovato il corpo della vittima) e il caso di Guerrina Piscaglia (il principale imputato, Gratien Alabi, è attualmente stato condannato in appello alla pena di 25 anni di reclusione nonostante non sia mai stato ritrovato il corpo della vittima). L’esperienza maturata dal nostro gruppo di lavoro anche in questo genere di indagini è pertanto consolidata e comprovata da importanti pronunciamenti in sede giudiziaria.

 

Cold Case – morti equivoche

Le indagini in caso di presunto suicidio e di morte equivoca devono essere condotte con la stessa precisione e tenacia solitamente impiegata in un caso di omicidio. Alcuni investigatori ritengono che le indagini sui presunti suicidi suscitino a volte più critiche e meno interesse di quelle su un omicidio perché: a) esiste, purtroppo, ancora una specie di “marchio di infamia” culturale che segna la famiglia del suicida;
b) spesso i familiari e gli amici provano un senso di colpa per non aver cercato di impedire l’atto, o si sono convinti che altri pensino questo di loro;
c) il suicidio può provocare ripercussioni economiche sulla famiglia (come ad esempio il mancato risarcimento da parte dell’assicurazione sulla vita).
Non va mai perso di vista che anche il suicidio deve essere provato e le indagini devono stabilire con elementi chiari e convincenti, in grado di eliminare ogni dubbio, seppur residuale, sul fatto che l’azione sia stata commessa da quella persona specifica senza l’intervento (diretto o mediato, come nei casi di istigazione) di altri soggetti.
La morte di un individuo, dunque, deve essere indagata non solo dal punto di vista medico, attraverso la dissezione e l’esame del corpo e dei suoi organi interni, ma anche da quello psicologico, attraverso quella che è stata definita per la prima volta da Edwin Schneidman – fondatore dell’American Association of Suicidology – “autopsia psicologica” (Schneidman, 1994).

 

Lineamenti di autopsia psicologica

L’autopsia psicologica è uno strumento clinico/investigativo che contribuisce a chiarire in che modo è avvenuta la morte nei casi di suicidio, omicidio o morte equivoca, focalizzandosi sugli aspetti psicologici dell’evento (Eliopulos L.N., 2008).
È la ricostruzione retrospettiva della vita di una persona scomparsa, ricostruzione necessaria per meglio comprendere lo stato mentale del soggetto prima del decesso e la eventuale riconducibilità di quanto accaduto nell’alveo delle cosiddette “morti sospette”, ossia tutti quei casi in cui le modalità del decesso siano poco chiare. Si rivela, dunque, una procedura tecnica di considerevole importanza nel caso in cui non sia possibile rapportare con certezza la morte di un individuo ad un chiaro disegno autolesivo e le prove medico-legali non consentano di enunciare conclusioni definitive.
Questa tecnica permette, quindi, attraverso una ricerca discriminativa di elementi, testimonianze e informazioni raccolte da documenti personali, rapporti di polizia, medici, diari, interviste con le famiglie, gli amici e tutti coloro che hanno avuto contatti con la persona prima della morte, di ottenere una valida tesi in relazione a quanto accaduto in caso di morte violenta, sia essa da attribuire ad omicidio, suicidio o incidente.
Poter ricostruire il profilo psicologico della vittima, oltre a far luce circa le modalità del decesso, ha una duplice funzione:
1. In caso di omicidio conoscere le caratteristiche della vittima (profilo vittimologico) può fornire informazioni preziose per stabilire un profilo dell’aggressore, fornendo un elemento di supporto alle investigazioni;
2. In caso di suicidio può sostenere i familiari nella elaborazione del lutto e può fornire un modello generale della mente suicida da utilizzare a fini preventivi.