Nada Cella: una ragazza che non aveva nulla da nascondere
Chiavari è una ridente cittadina che volge lo sguardo al mare, con le sue piazze e strade dedicate ai grandi nomi della storia: Piazza Mazzini, Via Garibaldi, Piazza Cavour, che rimandano alle imprese di grandi personaggi ancora oggi nella memoria di tutti e non solo dei Chiavaresi. Ma tra quelle strade si aggira come un fantasma il ricordo di una giovane donna, alla quale è stata tolta la vita con una indicibile violenza e, molto probabilmente, per quelle stesse strade si aggira ancora il suo assassino. Impunito.
Chi ha lavorato al caso lo conosce come “Procedimento penale 229/96/mod.21”: questa definizione asettica ed impersonale è tutto ciò che rimane dei sogni, delle fantasie e della voglia di scoprire il mondo di Nada Cella, una ragazza di appena 24 anni che ha trovato la morte in un luogo che lei riteneva sicuro, il suo posto di lavoro, in una giornata apparentemente uguale alle altre.
Lunedì 6 maggio 1996, nello stabile di Via Marsala 14, interno 5, Nada incontra il suo aggressore.
Noi siamo lì con lei; siamo in grado di descrivere ogni suo gesto, ogni suo pensiero: è questo che fanno i Profilers quando ricostruiscono ciò che è accaduto sulla scena di un crimine violento. Il compito è arduo e richiede la maggior precisione possibile per far si che Nada e la sua famiglia abbiano finalmente Verità e Giustizia.
Ad oggi l’assassino di Nada non ha volto né nome e nemmeno una collocazione di genere; allo stato, infatti, non possiamo escludere che si tratti di un uomo…o di una donna.
Faremo del nostro meglio per costringere la sua coscienza a fare i conti un’altra volta – o per la prima volta – con l’orrore di cui si è reso/a responsabile. Non ci può essere tregua per chi è rimasto prigioniero della propria colpa per 22 anni.
Aveva trascorso un tranquillo weekend in famiglia, Nada, senza turbamenti né preoccupazioni e, certamente, non poteva immaginare che quel lunedì sarebbe stato il suo ultimo giorno di vita.
Verosimilmente Nada conosceva il suo aggressore; con ogni probabilità, lo ha fatto entrare perché era un volto che lei era abituata ad osservare da tempo, un volto reso familiare dalla consuetudine.
Nada è stata aggredita nella propria stanza dove lavorava dal lunedì al venerdì dalle 09.00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00, tutti i giorni con abnegazione. Nonostante la giovane età, Nada svolgeva il proprio lavoro con grande senso di responsabilità e aveva le idee chiare sul suo futuro.
La morte è entrata nella sua stanza, l’ha colta di sorpresa accanto alla sua scrivania e non le ha lasciato il tempo di difendersi. Nada infatti non presenta alcuna lesione da difesa: altro dato estremamente significativo per chi è chiamato a ricostruire la criminodinamica in casi come questi e deve cercare di individuare, in primis, l’esistenza di un possibile rapporto di conoscenza tra autore e vittima.
Non è facile calarsi nella mente di Nada, ricostruire il turbinio di pensieri che deve aver attraversato la sua mente una volta realizzato pienamente il pericolo che stava correndo per mano di una persona che lei non aveva mai considerato una minaccia. L’aggressione è stata compiuta in rapida successione. Un colpo dopo l’altro. Senza tregua. Senza pietà. Nada in brevissimo tempo ha perso i sensi sotto i colpi inarrestabili del suo aggressore che, con inaudita violenza, ha continuato a colpirla al volto e al capo anche dopo che la poverina è caduta a terra ormai in sua balìa. Il suo aggressore, infatti, non è riuscito a fermarsi neanche quando Nada era agonizzante sul pavimento.
Verosimilmente certo di averla uccisa, si sbagliava. Al suo ritrovamento, Nada respirava ancora.
La mano che ha ucciso Nada ha un nome ed un volto, che la madre Silvana Smaniotto e la sorella Daniela Cella attendono da ventidue anni vengano individuati. Bruno Cella, il padre di Nada, morto di dolore il 27/07/1999 sulla via di ritorno dal cimitero in cui si recava ogni giorno per far visita alla tomba della figlia, nel 1998 rilasciò una dichiarazione ancora oggi attuale: “Vogliamo che sia scoperta la verità sulla morte di Nada. Non chiediamo vendetta ma solo giustizia. Dopo due anni, continua a regnare il buio assoluto. Abbiamo l’impressione, che noi familiari siamo rimasti le uniche persone interessate a scoprire l’assassino”. Nei mesi successivi, durante le indagini, la famiglia dichiarava: “Abbiamo rammarico per il lavoro compiuto dagli inquirenti perché, a nostro giudizio, non sono stati vagliati con l’adeguata cura tutti i particolari che potevano aprire uno spiraglio nella vicenda. Secondo noi, la verità va ancora cercata all’interno del palazzo, dove si è consumato l’episodio. Chiavari è una città piccola e sicuramente qualcuno non ha detto tutto quello che sapeva alla Polizia”.
Una chiara richiesta di aiuto alla quale è doveroso dare una risposta.
L’associazione “A Pista Fredda”, che siamo fieri di rappresentare, mette a disposizione tutta la competenza delle professionalità che ne fanno parte per servire Verità e Giustizia, al fianco della famiglia di Nada Cella che attende quella risposta da tanti, troppi anni.
Questo caso ne rievoca un altro con il quale esistono numerose analogie, il “delitto di Via Poma”, avvenuto a Roma il 7 agosto del 1990, in cui una ragazza, Simonetta Cesaroni, è stata barbaramente uccisa. Entrambe le vittime sono ragazze molto giovani, lavorano come segretarie, sono state massacrate in ufficio sul posto di lavoro, assassino e movente restano ignoti e l’arma del delitto resta introvabile.
Un’altra serie di sconvolgenti analogie sembra legare la storia di queste due donne. Entrambe facevano parte di nuclei famigliari composti dai genitori e da due figlie femmine. Entrambe sono le sorelle minori. Ad entrambe, anche se in circostanze e in tempi diversi, dopo il loro assassinio, muore il padre, lacerato da un dolore impossibile da metabolizzare, lasciando madre e sorella ad affrontare il tempo che passa inesorabile dissolvendo progressivamente la speranza di individuare il loro assassino. In entrambi i casi le indagini sono state flagellate da una serie di errori e mancanze, che ne hanno compromesso il buon esito fino a far precipitare entrambe le vicende giudiziarie nell’affollatissima palude dei casi insoluti “made in Italy”.
Ma Chiavari non è Roma. Chiavari è una cittadina in cui tutti si conoscono; ogni cosa lasciava presagire che l’assassino di Nada avrebbe avuto le ore contate. Le ore, invece, sono diventate anni.
Ventisette anni di angosciosa attesa di una svolta, quella decisiva, che non è mai arrivata. Almeno fino ad ora.
In questo libro gli autori cercheranno di rispondere principalmente a una domanda: Per chi era un problema Nada, tanto da doverla eliminare?
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